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giovedì 23 agosto 2012

DEBITO PUBBLICO: NEMICO O ALLEATO?

Il debito pubblico, nemico o alleato del popolo?. La scelta irresponsabile di dichiarare il debito pubblico come male assoluto del mondo ha aperto come abbiamo detto un problema più grande che è la dipendenza cronica dal debito privato come unica fonte di sostegno dell’economia di un certo paese. Quando lo Stato ancora unico detentore della sua moneta emette dei titoli di debito da collocare presso gli acquirenti privati per coprire i suoi deficit di bilancio, non fa altro che distribuire ricchezza finanziaria netta al settore privato, limitare il ricorso al debito privato per finanziare le spese e i consumi
altrimenti impossibili, concedere un sicuro investimento per i possessori dei titoli e in definitiva instaurare un debito con se stesso che non crea danni, in quanto nessuno si può far male, nè lo Stato nè il cittadino acquirente dei titoli, nè le banche creditrici, nè le aziende, per un semplice motivo: quel debito di natura soltanto convenzionale e fittizia potrà essere sempre rimborsato dalla tesoreria dello Stato, tramite un semplice clic su un computer della banca centrale. L’unico inconveniente di un utilizzo marcato del debito pubblico per favorire magari i programmi di piena occupazione, è la possibilità che si crei con il tempo un eccesso di importazioni dall’estero che tenda a svalutare eccessivamente la moneta nazionale nei confronti delle valute straniere, ad aumentare l’indebitamento estero e a rendere sempre più costose le stesse importazioni. Questo è un problema noto a tutti gli studiosi di economia, indicato con il nome di trilemma macroeconomico : non si può mai avere contemporaneamente autonomia nelle scelte di politica monetaria, libera circolazione dei beni e dei capitali e stabilità di cambio della moneta. Una cosa deve essere sacrificata e con buona pace per le economie altrui votate al mercantilismo e alle esportazioni, si potrebbe facilmente derogare ai mantra del libero mercato imposti dai globalisti mondiali con politiche razionali e sostenibili di protezionismo delle produzioni locali (perché comprare le arance in Spagna o in Marocco, con tutte le conseguenze del trasporto e del relativo inquinamento, quando posso tranquillamente produrle a due passi da casa mia?) e controllo dei movimenti di capitali (se un imprenditore ha fatto i soldi in Italia perché può sentirsi libero di portare i soldi alle Cayman per proteggersi dalla svalutazione e non pagare le tasse?), senza per questo rinunciare alla pace del mondo (che la globalizzazione in ogni caso non ha assicurato, anzi).    

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