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mercoledì 29 agosto 2012

IL FUTURO DI TUTTI SI DECIDE A BASILE



L'inizio della fine:

Nel cupo e misterioso mondo della macro economia e dell’alta finanza internazionale, c’è una città che è considerata la mecca degli accordi bancari internazionali: questa città è Basilea, sede di un comitato, detto appunto “Comitato di Basilea”, composto dagli enti regolatori dei Paese che compongono il G 10 a cui si uniscono quelli del Lussemburgo. Lo scopo di questo comitato è quello di redimere una serie di provvedimenti da attuare perché sia garantita una costante stabilità monetaria ed economica estesa anche a tutte le aree geografiche in cui i Paese del comitato abbiano influenza commerciale ed economica. Questa almeno è la finalità ufficiale, così come è disposizione ufficiale che ogni singolo Paese componente del Comitato possa ritoccare le disposizione concordate adattandole alle esigenze ed alle caratteristiche specifiche della propria situazione economica interna.
Tutto iniziò nell’ormai lontano 1988, quando venne redatto il primo “Accordo sul capitale minimo delle banche”, a cui aderirono pià di 100 Paesi. In questo primo accordo si stabiliscono gli standard di misura del capitale minimo delle banche accettati a livello internazionali. In poche parole, ad ogni operazione di prestito erogato deve obbligatoriamente corrispondere una quota di capitale da tenere a scopo precauzionale.  Il capitale obbligatorio si determina confrontando l’entità del capitale o patrimonio di vigilanza (detto anche capitale eligibile) e l’ammontare delle attività bancarie impiegate nella concessione di prestiti (banking book) ponderato per il rischio di credito (ossia di mancato o tardivo rimborso da parte dei prenditori). Per un gruppo bancario, il patrimonio di vigilanza bancario deve essere pari ad almeno l’8% delle attività creditizie ponderate per il rischio di credito (detto Coefficiente di stabilità). L’Accordo di Basilea obbligava le banche ad accantonare l’8% del capitale erogato, non investibile in attività creditizia tipica, né in attività para-assicurative, né in operazioni finanziarie sui mercati mobiliari, al fine di garantire solidità e fiducia nel sistema creditizio. Col tempo, l’Accordo si è rivelato inadatto a fronteggiare le nuove sfide poste in essere dalle nuove tecnologie di comunicazione, prodotti finanziari, mercati bancari e dalle tecniche di gestione dei rischi. Ma soprattutto non vengono presi in considerazione i rischi derivanti dalle operazioni sui mercati immobiliari e non sono accuratamente misurati i rischi di credito, che vengono piuttosto sottostimati. La principale conseguenza di ciò è l’ arbitraggio, ossia una certa elusione del vincolo di capitale minimo imposto nel 1988. In pratica, a fronte del rispetto apparente della formula di Basilea I, il management bancario era incentivato a concedere i tradizionali prestiti alle controparti relativamente più rischiose e ad intraprendere operazioni finanziarie innovative sempre più sofisticate e con un bassissimo se non nullo onere di capitale corrispondente. Dato che questo primo accordo presentava, a detta del direttivo del Comitato,  il limite evidente che l’accantontamento era indifferente al rischio della controparte (essendo troppo per una controparte poco rischiosa e troppo poco per una controparte giudicata rischiosa) finiva con il penalizzare le banche con un merito di credito più elevato, nel 2001 il Comitato promulgò il “Nuovo Accordo di Basilea”  più tristemente noto come “Basilea II”, un documento di consultazione operativo dal 2006 che definiva la nuova regolamentazione in materia di requisiti patrimoniali delle banche ed ovviare agli inconvenienti suddetti. Tutto ciò come se nel redigere il primo Accordo non fosse già emerso tutto questo divario attuativo tra banche con un rating più elevato rispetto ad altre. Con la Basilea II cominciano i guai seri, soprattutto per il nostro Paese: il nuovo accordo penalizza fortemente le piccole e medie imprese, zoccolo duro dell’economia italiana, che risultano avere, sempre secondo i nuovi dettami di Basilea, rating di basso lignaggio e quindi da sottoporre ad una stretta creditizia davvero opprimente. Le imprese non possono più finanziarsi liberamente. Certo, va detto che si erano verificati casi di eccessiva erogazione del credito e che comunque le banche devono avere delle tutele in merito, ma con questa nuova decisione presa a livello internazionale solo una strettissima parte delle nostre imprese poteva avere accesso al credito per far fronte alle esigenze organizzativo – produttive, e comunque, tra queste poche elette, spesso e volentieri il credito concesso era di gran lunga inferiore a quello per loro davvero necessario. All’ epoca il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, o meglio di Bankitalia S.p.A., visto che nel frattempo la banca centrale che ha sede a Roma, in via Nazionale, era diventata una S.p.A. privata, poco poté o volle fare per staccarsi da tale accordo e dare respiro alle nostre imprese. Risultato? La recessione iniziò nel 2007 il suo lento e terribile decorso, le imprese subirono un drastico taglio ai propri fatturati, l’economia dei consumi si fermò bruscamente ed in modo irrersibile e la cosiddetta crisi iniziò a tormentare tutti noi: posti di lavoro persi, disoccupazione e precariato crescente, e così via, con tutte le logiche e drammatiche conseguenze.
Ma tutto ciò non era prevedibile? Tutti i grandi tecnici che sedevano al tavolo di Basilea non immaginavano neanche tutto ciò? Impossibile crederci! La teoria che più si è portati a dedurre senza degenerare nel complottismo cronico è che il potere delle banche sulla vita di tutti noi cresce sempre più e ogni cittadino del mondo ha sulla propria testa la spada di Damocle di queste lobbies, sempre pronte ad afferrare i sogni ed i progetti di tutti noi per acquisirne il pieno controllo. E’ forse una coincidenza l’instaurarsi di tecnici di provenienza bancario – finanziaria non solo per costituire il nostro governo tecnico, quando poi è logico che un governo che prende accordi espliciti con i tre partiti di maggioranza è tutto tranne che tecnico, ma anche in tutti gli organigrammi dei più potenti Paesi al mondo? E come mai in tutti i Paesi in cui si è attuata negli ultimi anni una rivoluzione che ha destituito i tiranni dittatori (vedi Egitto, Tunisia, e così via) è sempre più presente l’insinuarsi di gigantesche filiali di colossi bancari internazionali? Come mai la tanto assidua partecipazione di banche e società finanziarie nell’azionariato delle famigerate e spietate agenzie di rating?
A spaventarci ancora di più arriva l’accordo denominato “Basilea 3″, che “costringe” le banche ad aumentare i propri capitali di garanzia. In che modo? Obbligando i correntisti a versamenti forzati ancora più consistenti di quelli in essere! (Fonte: http://www.bancaditalia.it/vigilanza/basilea3 ) E dire che questo nuovo accordo era stato stabilito quale strumento di adeguamento alla crisi iniziate nel 2007 – 2008. Ma si sa: la crisi è a carico dei comuni mortali, non dei poteri forti!

fonte : lpiersantelli.wordpress.com

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