Il debito pubblico non è il problema, ma la
soluzione. E’ inutile girarci intorno, quando gli
investimenti privati per diversi motivi tardano ad arrivare, l’unico fattore esterno che può rimettere in moto un’economia
depressa è una spinta più decisa sulla leva del debito pubblico. Le operazioni di spesa
a deficit o deficit
spending se utilizzate con
criterio e giudizio ( in definitiva no come in Italia) non solo non creano
danni ma possono porre le premesse per un aumento della domanda interna,
maggiori consumi sia per spese governative che private, un miglioramento
dell’occupazione, maggiori entrate fiscali e un progressivo abbattimento dello
stesso debito pubblico, dato che in certe condizioni di ripresa
economica le
tasse prelevate sui redditi cominceranno ad essere superiori alle spese del
governo. Ancora una volta, qui si tratta di evidenze empiriche e storiche e non
di congetture, perché prima dell’avvento della barbarie neoliberista di azzeramento dell’intervento
statale, i debiti pubblici, compreso quello italiano, si aggiravano nel mondo
intorno al 40%-60% in rapporto
al PIL, mentre quando le lobbies finanziarie e bancarie a partire dalla
fine degli anni ‘70 hanno preso il sopravvento e cominciato a pretendere
l’arretramento e lo snellimento dello Stato, i debiti pubblici sono esplosi sia
per la dinamica di aumento non
più controllato degli interessi sul debito (il caso italiano è
esemplare perché dopo che la banca centrale Banca
d’Italia è stata privata nel 1981 del suo ruolo di acquirente residuale
dei titoli di stato rimasti invenduti o richiesti ad un valore troppo basso,
gli interessi sul debito hanno toccato punte del 16%, facendo aumentare il
debito pubblico senza un corrispondente aumento della spesa pubblica che è
invece rimasta pressoché costante) sia
per un ridotto gettito fiscale,
dato che sono diminuiti i redditi reali (al netto dell'inflazione) per la maggioranza dei lavoratori e sono state contemporaneamente
abbassate le tasse per le fasce più ricche della popolazione
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