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sabato 15 dicembre 2012

LA PROCURA DI TRANI, IL DEBITO PUBBLICO E LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE


Parto subito fornendo il mio totale appoggio ad un’iniziativa promossa dal sito NoCensura: inviare un’e-mail all’indirizzo tribunale.trani@giustizia.it per far sentire il nostro sostegno, ringraziamento, la nostra vicinanza alla Procura di Trani, che lunedì scorso 12 novembre ha rinviato a giudizio ben 7 importanti responsabili delle agenzie di rating americaneStandard&Poor’s e Fitch. Servirà a poco, forse a niente, ma secondo me è sempre utile in un periodo così turbolento e confuso dichiarare apertamente da che parte stare e mandare un segno di riconoscenza a chi si presume stia lottando con grande impegno e determinazione dalla nostra stessa parte, riuscendo pure a passare dal piano astratto delle parole a quello concreto dei fatti: tutti noi ci proponiamo a parole di riformare il mondo della finanza, eliminare il conflitto di interesse fra enti controllori e controllati, arrestare il processo in corso di finanziarizzazione spinta dell’economiaregolamentare l’intero settore, svelare icomplotti e i retroscena che si nascondono nell’intreccio micidiale fra politica e affari, ma poi alla prova dei fatti siamo ancora incapaci di promuovere a livello istituzionale una singola azione di riforma. I magistrati di Trani, nel silenzio e nell’indifferenza più assoluta, sono invece riusciti a mandare un segnale forte al potente mondo finanziario, con tanto di carte bollate. E devo dire che conforta parecchio sapere che esiste ancora qualcuno in Italia capace di schierarsi con la parte debole, i cittadini, i consumatori, il popolo italiano contro chi in forza del suo enorme prestigio internazionale agisce spesso in modo truffaldino e in violazione della legge per frodarli.


Come recitava il titolo di un film americano di qualche anno fa, tutti noi dovremmo avere una personale “guida per riconoscere i nostri santi” e a mio parere i magistrati della Procura di Trani meriterebbero un posto d’onore nella lista, perchè sono dei segugi eccezionali e instancabili che da anni indagano sui crimini palesi o occulti commessi dal settore finanziario e bancario, dall’anatocismo all’usura, alle truffe dei prodotti derivati,all’aggiotaggio, fino all’attuale denuncia delle società di rating per manipolazione del mercatoSecondo l'accusa, coordinata dal pubblico ministero Michele Ruggiero, le agenzie di rating avrebbero con una serie di annunci abusato di informazioni riservate e violato più volte le regole del mercato finanziario rivelando in anticipo l'imminente intenzione di declassare il rating dell'Italia, cosa questa che ha dato avvio alla svendita in massa di titoli del debito pubblico italiano da parte dei grandi operatori del settore e procurato gravi perdite per i piccoli risparmiatori. Le prime dichiarazioni di Ruggiero sono abbastanza esplicite in questo senso: “Le agenzie di rating hanno tentato di destabilizzare l’immagine, il prestigio e il merito creditizio dell’Italia sui mercati finanziari, alterando il valore delle obbligazioni italiane a causa dei continui deprezzamenti”. Tutti sanno che le società di rating lavorano al servizio delle banche, vengono finanziate dagli istituti che dovrebbero giudicare, basano i loro giudizi sulle informazioni fornite dalla banche e forniscono addirittura consulenza alle stesse banche sui metodi migliori per ottenere un buon rating, ma sono sempre pochi quelli che hanno il coraggio di denunciare apertamente questo gigantesco conflitto di interesse strutturale. Entrando nel merito della questione, cerchiamo però adesso di capire meglio su quali circostanze si basa la Procura di Trani per formulare la sua accusa.



I fatti risalgono a maggio 2011 quando Standard&Poor’s lanciò un primo allarme su un possibile declassamento del debito pubblico italiano, diffondendo una “nota” critica nei confronti della manovra finanziaria del governo italiano ancora prima della sua pubblicazione ufficiale: questa presa di posizione creò panico ingiustificato nei mercati e favorì la lenta ma inarrestabile corsa al rialzo dello spread. A settembre 2011, la stessa agenzia di rating procede all’annunciato declassamento, abbassando il rating di un livello fino a singola A. In seguito a questa inequivocabile bocciatura lo spread raggiunge quota 575 punti base a novembre e accelera le convulse fasi di uscita di scena del governo Berlusconi, sostituito in fretta e furia, grazie alla zelante opera di sostegno del presidente Napolitano, dall’esecutivo dei tecnici banchieri guidato da Mario Monti e fortemente voluto daWall Street, dalla City e dalla trojka UE, BCE, FMI. A gennaio 2012, sempre Standard&Poor’s procede ad un altro downgrade di due tacche del rating sul debito pubblico italiano, abbassando l’asticella fino a BBB- e consentendo al governo Monti di procedere spedito lungo il percorso già tracciato e imposto dall’alto, dai grandi gruppi finanziari e dagli enti sovranazionali, delle riforme delle pensioni, del mercato del lavoro,liberalizzazioniprivatizzazioni e svendita del patrimonio pubblico. A febbraio 2012 è l’altra agenzia di ratingFitch a gettare ombre sulla sostenibilità del debito pubblico italiano, portando il giudizio da A+ a A- e dando ancora più impulso all’azione riformatrice del governo Monti. Fino ad arrivare ai giorni nostri in cui i dati economici dimostrano che l’azione del governo Monti si è dimostrata fallimentare su tutta la linea, lo spreadha ripreso a salire intorno ai 370 punti base, il debito pubblico è cresciuto di ben €88,4 miliardi nei primi 9 mesi dell’anno arrivando ormai a sfiorare di un soffio la soglia psicologica dei €2000 miliardi (1995,1), e l’Italia è di nuovo sotto scacco delle agenzie di rating.


Possiamo già anticipare purtroppo che nel migliore dei casi l’inchiesta della Procura di Trani finirà per dissolversi in un bolla di fumo: dal momento dello scoppio della crisi finanziaria sono state depositate nel mondo circa 60 cause analoghe contro le agenzie di rating che non hanno mai portato ad uno straccio di condanna, dato che i responsabili di queste società si trinceranno spesso dietro l’alibi dell’indipendenza e della fallacità, sostenendo che i loro giudizi sono solo “opinioni” basate su metodi di calcolo statistici e non deterministici. Tuttavia l’iniziativa della procura di Trani dovrebbe farci riflettere su alcune curiose anomalie e sulla tempestività degli interventi delle società di rating: come mai i declassamenti sono avvenuti quando i conti dell’Italia erano ancora in ordine, mentre oggi che tutti i dati virano in negativo le agenzie americane tacciono? Se il problema dell’Italia è il debito pubblico e questo continua ad aumentare, per quale motivo le agenzie non intervengono? Cosa è cambiato oggi rispetto a maggio 2011? E’ cambiato un governo certo, questo lo sappiamo tutti, il caimano Berlusconi ha lasciato il posto al vampiro Monti, che come ci viene ricordato ad ogni ora da tutti i mezzi asserviti della propaganda ha dato più credibilità internazionale al nostro sistema paese. Ma è davvero così? Non dovrebbero essere i numeri a confermare la stabilità di un paese e la buona o cattiva azione di un governo? E se questi numeri sono tutti negativi, dal PIL alla disoccupazione, alla produzione industriale ai consumi, come mai i mercati finanziari si fidano ancora dell’Italia? Cosa si aspettano in verità i mercati dall’Italia e dal governo Monti in particolare? A parte l’esito finale dell’inchiesta dei temerari magistrati della Procura di Trani, il loro lavoro serve principalmente ad inquadrare di nuovo lo scenario complessivo in cui si muove oggi l’Italia, perché se nei loro atti di accusa manca il movente, noi possiamo facilmente azzardare qualche ipotesi e avanzare alcune conclusioni sulla base di ciò che ha fatto e sta facendo concretamente il governo Monti.


Per capire meglio dobbiamo però riavvolgere velocemente il nastro. Ripartiamo dall’inizio: il 15 settembre 2008,giorno della dichiarazione ufficiale di fallimento della banca americana Lehman Brothers, è la data virtuale di inizio della crisi finanziaria globale. Successivamente il governo americano in accordo con la banca centrale Federal Reserve inizia una serie impressionante di operazioni monetarie per iniettare liquidità nei mercatied evitare il tracollo di tutto il sistema economico e finanziario non solo americano, ma mondiale (a tal proposito consiglio la visione del film Il Crollo dei Giganti, che a parte i soliti aspetti patetici e affettati del nazionalismo americano, ricostruisce abbastanza bene l’intera vicenda). In buona sostanza gli Stati Uniti decidono unilateralmente di non ripagare l’intero ammasso di debito pubblico e privato inesigibile, ma di rilanciarlo rendendo nuovamente liquidi e negoziabili sui mercati i titoli collegati a quel debito. Gli americani possono farlo perché hanno il pieno controllo sovrano della propria politica monetaria e come ammesso dallo stesso governatore della Fed Ben Bernanke, la banca centrale può ricapitalizzare e rifinanziare le banche private accreditando semplicemente i conti di riserve dei singoli istituti presso la stessa banca centrale: i cittadini quindi non sono tartassati dalle politiche di austerità, ma è lo zio Ben che “stampa” soldi pigiando i tasti del suo computer. Qualcuno però deve pagare una parte di quel debito irredimibile sparso per il mondo e nascosto fra gli attivi delle maggiori banche internazionali, chi? Presto detto, chi non ha un computer capace di fare le stesse cose della Federal Reserve: l’eurozona.


La BCE, controllata a vista dagli psicolabili monetaristi tedeschi della Bundesbank, come sappiamo ha infatti maggiori limitazioni sia per quanto riguarda le politiche monetarie espansive nel mercato interbancario che per il sostegno diretto ai debiti pubblici degli stati, impedito per statuto. I governi nazionali sono costretti quindi ad agire in autonomia per salvare le banche fallite, facendo gravare sui cittadini e sul rigore fiscale l’intero peso di questi salvataggi. Tutti gli stati dell’eurozona pagheranno? No, soltanto quegli stati della periferia (i cosiddetti PIGS, Portogallo, Irlanda, Grecia Spagna) che hanno accumulato maggiori sofferenze bancarie e debiti esteri nei confronti dei paesi creditori del centro (Germania, Olanda, Finlandia, Austria). L’Italia in questa prima fase è esclusa dalla furibonda aggressione della finanza nei confronti delle ormai decadenti democrazie, sia perché le sue banche sono ancora solide sia perché il debito estero è abbastanza contenuto e sostenibile (30% circa del PIL). Tuttavia, in un periodo in cui tutte le banche e multinazionali internazionali stanno affrontando grandi perdite a causa della crisi e dell’incertezza che regna sovrana sui mercati, anche l’Italia deve concedere qualcosa ai grandi gruppi privati, che hanno bisogno di investire i nuovi capitali freschi forniti dalle banche centrali per fare investimenti certi e garantiti. Qual è il settore più sicuro in cui possono investire questi gruppi? La captive demand, quei settori pubblici essenziali in cui la domanda è imprigionata, perché i clienti non hanno reali alternative di acquisto: acqua, energia, sanità, telecomunicazioni. Il popolo italiano però, attraverso il voto nei referendum sull’acqua e sul nucleare, si mostra però inconsapevolmente risoluto a rifiutare questo tipo diimpostazione spontanea e istintiva dei mercati, che hanno la capacità predatoria di colpire sempre nella massa le vittime più esposte, fragili, indifese, zavorrate. E i mercati si vendicano e puntualmente cominciano ad attaccare il debito pubblico italiano.


Improvvisamente i mercati, sulla scia delle frettolose e provvidenziali analisi delle società di rating, si accorgono che l’Italia ha un debito pubblico troppo alto, che alla lunga potrebbe minare la sostenibilità e stabilità dell’intero sistema paese. Dopo vent’anni in cui nessuno si era mai accorto di nulla e i governi italiani erano riusciti progressivamente ad abbattere il debito pubblico attuando politiche di austerità e contenimento della spesa pubblica, a partire da maggio 2011 tutti si svegliano e cominciano a guardare con sospetto alla situazione italiana, indicando appunto nel debito pubblico il maggior problema strutturale del paese. Se sul versante del debito estero e privato i mercati non possono agire per defraudare l’Italia, sul lato del debito pubblico esistono parecchi strumenti di pressione: la questione è stata in effetti sempre in cantiere e bene o male affrontata da tutti i governi, ma adesso l’abbattimento del debito pubblico diventa una vera e propria emergenza nazionale. Come si può ridurre il debito pubblico concedendo ai mercati la possibilità di investire con pochi rischi in Italia? Se l’acqua e il nucleare per il momento sono saltati, esistono però altri settori e metodi ancora più diretti per razziare il popolo e il patrimonio pubblico italiano. I politici italiani devono in pratica portare a compimento la grande opera di privatizzazioni e svendite selvagge iniziata dai governi Amato e Ciampi a partire dai primi anni novanta. Chi deve farsi garante di queste manovre di raggiro? Berlusconi no, perché non è più credibile e ha perso consenso, la sinistra italiana del PD si astiene perché queste politiche impopolari potrebbero far rivoltare i suoi elettori ormai sull’orlo di una crisi di nervi e di identità, serve quindi un personaggio terzo, tecnico, neutrale, apprezzato dai mercati finanziari e incensato dalla propaganda di regime. E chi meglio delprofessore di economia neoliberista Mario Monti, che ha passato tutta la carriera tra consulenze ai ministeri e a Goldman Sachs, incarichi di commissario all’Unione Europea e posti di prestigio all’interno di organizzazioni lobbistiche internazionali come il Gruppo Bilderberg e la Commissione Trilaterale? Mario Monti è l’uomo giusto per depredare l’Italia e i mercati festeggiano.


Dopo l’antipasto delle riforme delle pensioni e del mercato del lavoro, arriva il momento della grande abbuffata e il governo Monti comincia ad utilizzare dei giochi di prestigio contabili per confondere l’opinione pubblica. Autorizza il passaggio per €10 miliardi dal Ministero dell’Economia allaCassa Depositi e Prestiti (CdP) delle partecipazioni pubbliche inFintecnaSaceSimest. Annuncia a più riprese un colossale piano di svendita del patrimonio pubblico da €15-20 miliardi all’anno, tramite la creazione di una Società di Gestione del Risparmio (SGR), controllata dalla stessa CdP, che si occuperà di acquistare dallo stato i beni patrimoniali e di rivenderli ai privati, i quali a loro volta potranno fare facili profitti affittando di nuovo gli immobili allo stato italiano. La presenza della CdP S.p.A., partecipata per il 70% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e per il restante 30% dalle fondazioni bancarie, rende ancora più opache queste operazioni, perché nel caso della CdP non si capisce mai quale sia il confine fra la società per azioni privata e la banca pubblica di interesse nazionale. Sappiamo che la principale attività della CdP è quella di raccogliere i risparmi dei correntisti postali e finanziare con prestiti o altre forme di investimento le opere pubbliche, le amministrazioni centrali e periferiche dello stato, gli enti locali. La CdP è quindi l’unica banca di diritto pubblico rimasta in Italia, dopo il drastico processo di smantellamento e privatizzazione del settore bancario italiano iniziato con la legge delega Amato-Carli del 1990 e proseguito con il Testo Unico Bancario(TUB) del 1993, promosso dall’allora governatore di Banca d’Italia e poco dopo presidente del consiglio Carlo Azeglio Ciampi.


E veniamo dunque al punto più delicato dell’intera faccenda: siamo proprio sicuri che la svendita del patrimonio storico e immobiliare, nonché produttivo, dello stato italiano sia l’unico modo per ridurre il debito pubblico?No. In verità ne esisterebbe un altro, di cui nessuno fino ad adesso ha mai parlato e che vale la pena di esaminare. La CdP, in quanto banca pubblica ammessa per statuto ai finanziamenti diretti della banca centrale, potrebbe ricevere prestiti all’1% dalla BCE da destinare unicamente all’acquisto in asta dei titoli di stato italiani ad un tasso di interesse opportunamente calmierato, ricoprendo in pratica lo stesso ruolo che apparteneva alla Banca d’Italia prima del famigerato divorzio dal Ministero del Tesoro del 1981. In questo caso il Ministero dell’Economia potrebbe decidere di fissare un tasso soglia per ogni asta, accettando soltanto le offerte inferiori e lasciando alla CdP il ruolo di acquirente residuale dei titoli rimasti invenduti. Ovviamente rimarrebbe il problema della differenza di durata fra i prestiti a breve e medio termine concessi dalla BCE e gli impieghi della CdP in titoli di stato con scadenza superiore ai tre anni, ma per coprire le esigenze di liquidità, la CdP potrebberivendere successivamente i titoli sul mercato secondario o utilizzare i risparmi dei correntisti postali, promuovendo magari a mezzo stampa una grande campagna di riacquisto del debito pubblico da parte dei cittadini italiani. Il meccanismo di rinnovo del debito pubblico a tassi di interesse più bassi potrebbe favorire un risparmio per le casse dello stato dello stesso importo di quello preventivato con la svendita del patrimonio pubblico, perché ormai anche le pietre in Italia sanno che il debito pubblico è esploso in Italia a partire dal 1981 a causa delle dinamiche della crescita degli interessi e non per le spese pubbliche folli dello stato, che non solo sono cresciute in modo sempre più marginale e ridotto ma sono state spesso compensate da maggiori entrate fiscali, producendo anno per anno avanzi primari da destinare unicamente al pagamento degli interessi.


Ricordiamo che in altri importanti paesi dell’eurozona come SpagnaFranciaGermania esiste da sempre una forte componente di banche pubbliche o a partecipazione statale che svolge automaticamente questa importante funzione di alleggerimento dei costi del servizio del debito pubblico (capitale e interessi). In Germania, come abbiamo già visto in un altro articolo, esiste un’agenzia pubblica collegata al Ministero delle Finanze che in apparente contrasto con i trattati europei ha il compito specifico di manipolare le aste pubbliche dei titoli di stato per tenere artificialmente bassi gli interessi e acquisire momentaneamente i titoli che sono stati richiesti a rendimenti considerati non ragionevoli e vantaggiosi per i bilanci dello stato. Tutti i paesi più importanti utilizzano insomma degli stratagemmi di difesa dall’aggressione dei mercati finanziari, tutti tranne l’Italia, che si fa spennare senza muovere un dito e creando sempre maggiori tensioni sociali. Le nazionalizzazioni delle banche private in crisi non possono essere considerate una soluzione definitiva a tutte le inefficienze e assurdità del settore finanziario, ma storicamente sono state spesso utilizzate come strumento temporaneo necessario per mettere a posto i conti della banca, salvaguardare i risparmi dei cittadini ed evitare il dissesto dell’intero sistema finanziario nazionale (vedi per esempio le crisi bancarie della Svezia nel 1992 e dell’Islanda del 2008). 

        
In un paese “normale”, l’azione della CdP potrebbe essere quindi rafforzata da tutti gli istituti bancari in difficoltà che attraverso i salvataggi pubblici successivi passano sotto il controllo dello stato, anche se sappiamo già che nella situazione "anomala" in cui ci troviamo imprigionati oggi una simile eventualità sarà sempre impedita dairigidi vincoli ideologici agli interventi dello stato nei mercati finanziari, presenti nei trattati europei e nell’eurozona in particolare. Se confrontiamo il paradossale e assurdo caso di salvataggio pubblico della Monte Paschi di Siena con quello che è avvenuto recentemente in Gran Bretagna con la Royal Bank of Scotland, ci possiamo rendere conto della differenza abissale che esiste fra un paese ingabbiato in un sistema folle di annientamento dello stato e difesa dei dogmi del libero mercato, e un paese anch’esso spregiudicatamente neoliberista, dove però esiste un maggiore equilibrio fra le prerogative pubbliche e private. Il governo italiano ha salvato Monte Paschi di Siena sborsando €3,9 miliardi praticamente a fondo perduto, il governo inglese invece ha salvato la Royal Bank of Scotland fornendo £20 miliardi di sterline, acquisendo il controllo con il 60% del capitale sociale e entrando con i suoi funzionari nel consiglio direttivo della banca. L’ex amministratore delegato della MPS Giuseppe Mussari ha dato le dimissioni ed è stato promosso a presidente dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana), l’amministratore delegato della RBS si è dimesso senza chiedere nulla in cambio e scusandosi con i clienti della banca: “Mi dispiace per il costo finanziario molto concreto e quindi umano che stanno pagando coloro che hanno investito nella nostra banca e riconosco quanto gravemente questa situazione abbia pesato sulla fiducia degli azionisti di RBS. E mi dispiace anche se uno qualsiasi dei nostri clienti ha sofferto di ansia e inquietudine a causa della situazione attuale”.


Detto questo, ricollegandoci con l’inchiesta della Procura di Trani, bisogna ribadire che il debito pubblico non è mai stato il vero problema dell’Italia, ma soltanto un pretesto per estorcere rapidamente alle casse dello stato e ai risparmi degli italiani soldi, diritti, concessioni, patrimoni reali, lucrose partecipazioni in aziende strategiche. E in particolare, bisogna avere chiaro un concetto: oggi come oggi una persona davvero interessata al bene del paese dovrebbe vagliare continuamente altre alternative e sapere che esistono alcune tecniche finanziarie per aggredire il debito pubblico senza depredare il patrimonio pubblico o chiedere ulteriori sacrifici al popolo italiano. La nazionalizzazione delle banche più in difficoltà e l’utilizzo di queste banche per rendere più sostenibile e graduale il rimborso del debito pubblico, potrebbe essere una di queste strade. A tal proposito riporto di seguito un articolo scritto da Jacopo Castellini e pubblicato sulla rivista PuntoZero (Nexus Edizioni), dove viene analizzata in dettaglio la proposta di utilizzare le banche statali o nazionalizzate per creare un meccanismo virtuoso di abbassamento progressivo dei tassi di interesse con cui viene rifinanziato il nostro debito pubblico. E’ chiaro che si tratta di misure tampone temporanee, perché l’unica soluzione definitiva per liberarsi dalla stretta mortale della finanza rimane sempre l’uscita dall’euro, il recupero della nostra moneta sovrana lira, la nazionalizzazione della Banca d’Italia e il successivo matrimonio di quest’ultima con il Ministero dell’Economia. Ma in attesa di questo fatidico momento liberatorio in cui l’Italia riconquisterà la sua dignità di paese democratico e sovrano, potremmo magari non farci fregare dagli sciacalli mercenari del governo Monti

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